Luoghi

Viaggiare, conoscere luoghi, ascoltando i podcast di TopVoice

Un luogo non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati.
(Antonio Tabucchi)

I CAPOLUOGHI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

 GoriziaVERSIONE AUDIO / VERSIONE TESTO

 TriesteVERSIONE AUDIO / VERSIONE TESTO

 PordenoneVERSIONE AUDIO / VERSIONE TESTO


Gorizia, rimembri ancor...


Quasi sospesa nel tempo, Gorizia apparentemente sembra non partecipare agli avvenimenti della contemporaneità che si svolgono intorno a lei. Tuttavia proprio in questo suo “tenersi fuori” dal clamore degli eventi, che l’hanno comunque coinvolta, sta il suo fascino di città che vive di vita propria, di una bellezza pacata e rassicurante, di un passato illustre e multiculturale! Dal punto di vista linguistico infatti, Gorizia, città di confine, era ed è ancora, una realtà plurilingue. Vi si parla italiano e sloveno mentre il tedesco sta purtroppo scomparendo inesorabilmente, assieme agli abitanti più anziani. Sono qui idiomi materni anche il friulano, riconosciuto nella sua dignità di lingua ed il dialetto goriziano, dalle origini venete con numerose infiltrazioni slovene, friulane e “bisiache”, cioè della parlata dialettale della “bisiacheria”, un piccolo territorio compreso “tra le due acque ” (bisiache) dei fiumi Isonzo e Timavo. Culturalmente Gorizia non ci sta ad essere considerata una città provinciale e si impegna costantemente ad approfondire i suoi legami col passato, a mantenere vive le sue istituzioni artistiche e culturali (numerose le mostre, i concerti e le iniziative davvero interessanti), ad aprirsi sempre più alla presenza di Istituti Universitari qualificati (ad esempio la facoltà di Scienze Diplomatiche), ad organizzare eventi e spettacoli di respiro internazionale (come l’Alpe Adria Puppet Festival, il Festival Mondiale del Folklore, il Premio “Sergio Amidei” per la miglior sceneggiatura cinematografica, il Mittelmoda Fashion Award, Gusti di Frontiera e Vinum loci). I più antichi documenti che parlano di Gorizia risalgono al 1001, anno in cui l’imperatore Ottone III donò metà della Villa di Gorizia al Patriarca di Aquileia e l’altra metà al conte del Friuli. Fin dal Medioevo dunque la città, o meglio il borgo fortificato ed il suo territorio, subirono divisioni territoriali e riunificazioni. Appartenuta ai Conti di Gorizia a partire dal XI secolo, l’ultimo discendente morì nel 100 e la cittadina passò agli Asburgo, i quali dovettero lottare a lungo con Venezia per conservarne il possesso, che mantennero (eccetto una breve parentesi napoleonica) fino al 1918, quando Gorizia entrò a far parte dell’Italia assieme a Trieste. Dopo la Seconda Guerra Mondiale anche Gorizia, sebbene meno famosa, ha patito come Berlino una lacerazione della società e del tessuto urbano. I trattati di pace stabilirono infatti che il confine tra Italia e Yugoslavia passasse proprio attraverso la città, separando famiglie, alienando proprietà avite, ferendo l’area urbana con muri e fili spinati e snaturando una realtà territoriale e sociale che, per secoli, erano state indivise. Si costituirono così la Gorizia italiana e la Nova Gorica yugoslava, poi slovena, per lungo tempo testimoni dell’assurdità di muri e confini “insanguinati”. Dopo le devastazioni subite da ben due guerre mondiali che l’hanno profondamente segnata, Gorizia sembra dunque aver preferito una rassicurante e silenziosa tranquillità piuttosto che buttarsi a capofitto nella mischia di un’Europa i cui confini si stanno modificando per aprirsi sempre più ad Est. Tuttavia oggi, come ai tempi dell’Impero Asburgico, quando Gorizia era a buon diritto un prezioso gioiello, “la Nizza d’Austria”, luogo di villeggiatura e centro culturale, le genti e le merci hanno ricominciato a circolare liberamente e la Storia ha riunito ciò che non poteva rimanere separato. Nel 200 e poi il 21 dicembre 2007, a seguito dell’entrata della Slovenia in Europa e della sua adesione agli Accordi di Schengen, con un’indimenticabile e solenne cerimonia sono stati finalmente rimossi i segni visibili ed i controlli dovuti a questa separazione. Quella giornata, con le lacrime agli occhi, molti italiani e sloveni hanno probabilmente riflettuto, una volta di più, sull’inutilità crudele di tante guerre! Merita quindi rivivere quest’emozione profonda visitando la Piazza Transalpina (dove si può passeggiare con un piede in Italia ed uno in Slovenia), per poi magari recarsi anche a Nova Gorica, che negli ultimi anni si è rinnovata, aprendosi al turismo e sviluppando le attrattive legate a lussuosi Casinò, che intendono fare di questa città slovena una piccola Las Vegas dell’Est. Il centro di Gorizia, al primo impatto, colpisce per l’ordinata pulizia, l’assenza di traffico e di rumorosità. Poi, inoltrandosi nella città si è sorpresi dalla semplice bellezza di certi scorci, dall’eleganza di vie e corsi fiancheggiati da palazzi settecenteschi ed ottocenteschi, dalla cura dei lussureggianti parchi e dei giardini che circondano antiche ville padronali e villini liberty graziosissimi. Adornata dalla fontana del Nettuno (176), Piazza Vittoria è il centro cittadino su cui campeggia la facciata barocca della chiesa gesuita di Sant’Ignazio (16), con le torri campanarie gemelle dalla cuspide a “cipolla”, retaggio tipico dell’architettura asburgica. Inerpicandosi per viale D’Annunzio si raggiunge la città alta dove torreggia il maestoso maniero dei Conti di Gorizia. All’interno delle mura di cinta è racchiuso, come in un forziere, il pittoresco Borgo Castello formato da antiche dimore, come Casa Rassauer (XIV sec e ulteriori rimaneggiamenti), Casa Dornberg, Casa Tasso (XVI sec.), Casa Formentini (ora sedi dei Musei provinciali di Borgo castello), alle quali si aggiunge la graziosissima chiesetta tardogotica di Santo Spirito (XIV-XV sec). Il Castello medievale, che risale all’XI secolo, è senz’altro uno fra i più belli ed antichi della regione ed i suoi ambienti permettono di rivivere l’atmosfera della vita castellana al cui fascino si può unire anche il brivido della leggenda. Il maniero sarebbe infatti abitato dal fantasma dell’avida Contessa Caterina che, morta assassinata, nottetempo vi si aggira con i suoi feroci cani alani… Percorrendo ancora le vie della città bassa, ci si imbatte in molti altri importanti edifici: il Duomo, la chiesa di Maria Immacolata, Palazzo Attems, sede di Musei, Palazzo Coronini Cronberg, che racchiude, circondato da uno splendido parco, preziosi manoscritti e volumi oltre ad opere pittoriche di Tintoretto, Rubens, Monet. Si affacciano sulla bella Piazza Sant’Antonio, adorna del chiostro di un ex convento francescano, Palazzo Strassoldo, che ora ospita un lussuoso albergo e Palazzo Lantieri, il quale vanta una torre del XVI secolo, degli affreschi cinquecenteschi e dove si può pure pernottare, ospiti dei nobili proprietari che curano un raffinato bed & breakfast. L’antica nobiltà feudale e mitteleuropea da sempre hanno abitato e modellato Gorizia a cominciare dal Castello con il suo Borgo, che sovrastano la “città bassa”, indicando così, anche visivamente, una netta separazione tra aristocrazia e popolo. Questo fiero e nobile distacco ha poi in qualche modo permeato tutta l’atmosfera della città, che discreta e dignitosa rifugge la chiassosità contemporanea, l’esibizionismo del lusso da “nuovi ricchi”, i cambiamenti delle mode, i foresti invadenti. I goriziani, consapevoli della dignità del proprio passato e della solida cultura cittadina, sono spontaneamente gentili nei modi e rispettosi dei valori familiari, religiosi e della tradizione. Amano anche mantenere vivi gli antichi “rituali” sociali: il ricevere in casa nel salotto buono, il pranzo domenicale in famiglia, la partecipazione ai mercati e alle fiere cittadine, come l’antica fiera di Sant’Andrea che si svolge a fine novembre. Il legame con il “contado” qui è ancora molto forte ed imprescindibile, tant’è che i paesi più vicini rientrano direttamente nella sfera d’influenza della città. Una visita a Gorizia è perciò incompleta se non si ha tempo di andare a vedere anche le dolci colline del Collio, la cittadina di Cormons ed i suoi dintorni, il bel Castello di San Floriano ed i vigneti sconfinati (nel senso più letterale del termine), tenuti come giardini. Si può pure seguire il percorso dell’Isonzo smeraldino (fiume caro alla Patria), che porta ai monti, teatro di scontri sanguinosi durante la Grande Guerra, o al mare, passando per la turrita Gradisca, fino ad arrivare a Grado, pittoresca ed antica. I goriziani sono anche dei buongustai e sono molto legati alle loro tradizioni culinarie che non è raro vengano conservate e tramandate in antichi ricettari familiari. La cucina goriziana, per lo stretto legame della città con il contado, è molto genuina, semplice e corposa, con insoliti abbinamenti di dolce e salato cari alla gastronomia germanica. Trovandosi a metà strada tra Udine e Trieste e vicinissima alla Slovenia, è stata luogo di intrecci per eccellenza. Qui vogliamo segnalare i piatti più caratteristici, quelli che a Gorizia trovano maggiori legami e diffusione sebbene presenti anche nelle aree limitrofe: la minestra di “bobici” (fatta di chicchi di granturco cinquantino, patate e fagioli), gli gnocchi di susine (grandi gnocchi di patate ripieni di susine mature snocciolate e conditi con pangrattato, burro fuso, zucchero e cannella), gli “žlikrofi” (un tipo di pasta ripiena), i popolari dolci “gubana”, “kuguluf”, “presnitz” e “putizza”, gli ultimi due propri anche delle tavole triestine e carsiche. Possiamo aggiungere la minestra di verza, la “zilidina” (gelatina di carni di maiale), il “gulash” (spezzatino piccante) ed i “mulis” (sanguinacci). Tra i prodotti tipici si distinguono particolarmente il Radicchio Canarino, la Rosa di Gorizia (radicchio rosso pregiatissimo), il Radicchietto nano, gli Asparagi Bianchi di Sant’Andrea, i “Zartuffi” (topinambur), la Verza di Sant’Andrea, le pregiate ciliegie. Situata all’incrocio di ben tre diverse aree DOC, “Collio”, “Isonzo” e “Carso”, produttrici di eccellente qualità, Gorizia può essere considerata anche un “capoluogo” del buon vino e soprattutto degli eccellenti vini bianchi, che sono parte integrante della cultura locale, come aveva capito bene lo stesso Giacomo Casanova (maestro nell’arte dell’abbinamento di cibo e vino) che soggiornò a lungo in questa incantevole ed ospitale città della Mitteleuropa! Tra le diverse varietà coltivate, la Ribolla Gialla è il vitigno autoctono (documentato sin dal Trecento) che forse più rappresenta la viticultura nella provincia goriziana e con il quale si produce un vino fresco, di buona acidità, dai sentori di acacia e castagno. Gorizia ha un fascino sottile, un po’ retrò, ma che si insinua piano piano e ci riporta indietro nel tempo, quando la vita aveva il sapore delle cose semplici e buone di cui non ci si stanca mai!

Udine, cuore friulano!


Capoluogo di una provincia vastissima, Udine ne è il cuore pulsante, tutto friulano. Il suo territorio va dalle Alpi al Mar Adriatico, confinando con il Veneto, l’Austria e la Slovenia. L’identità friulana è dovunque sempre ben presente e radicata, eccezion fatta per certe isole etniche, prossime ai confini internazionali, dove comunque si sovrappone. Essa si esprime anche linguisticamente con un proprio idioma, il friulano, con le sue diverse varianti a seconda delle aree in cui è parlato e dal 1999 riconosciuto dallo Stato nella sua dignità di lingua minoritaria. Si può dunque dire che Udine è a buon titolo la capitale della Patria del Friuli, avendo rivestito questo ruolo pure storicamente. Fu infatti sede, dopo Cividale, di un vero Parlamento, istituito già nel 1077 dal Patriarcato di Aquileia, dei cui domini la città faceva parte. Nel 120 Udine passò alla Serenissima, la quale, infondendo alla città nuove energie ed un nuovo impulso, soprattutto sotto il profilo culturale, favorì un ulteriore sviluppo urbanistico. Sorsero così palazzi, monumenti e chiese, mentre artisti di fama furono chiamati a progettarli e decorarli. Anche le famiglie più in vista, come i Manin, diedero nel corso dei secoli il loro contributo all’abbellimento della città, ormai ben lontana dall’essere l’angusto abitato medievale di un tempo. Passeggiando per le vie e per le piazze del centro cittadino si nota subito quanto abbia influito la lunga dominazione di Venezia. Piazza della Libertà ad esempio è stata definita “la più bella piazza veneziana in terraferma”, dove la componente fluida e riflettente dell’acqua dei canali ha lasciato luogo ad una solida e stabile concretezza, tutta locale, che si trova anche negli altri edifici storici udinesi. Vi si affacciano il porticato di San Giovanni, con l’elegante Torre dell’Orologio realizzata da Giovani da Udine ed il bel Palazzo del Comune del XV secolo (ricostruito dopo l’incendio del 1876), detto anche Loggia del Lionello, in stile gotico veneziano che tanto ricorda Palazzo Ducale. Da questa piazza, attraverso l’Arco Bollani, disegnato dal Palladio, si accede con una salita porticata al Castello, situato su di un colle, fulcro del capoluogo friulano. Qui si gode una vista incantevole, che spazia su pianura, colline e montagne. Fanno parte del comprensorio la chiesa di Santa Maria di Castello e la Casa della Contadinanza, ora sede di un’enoteca di soli vini regionali. Le sale del Castello ospitano invece importanti musei e una biblioteca d’arte. A Udine è bello camminare sotto i portici di via Mercatovecchio, seguendo semplicemente il flusso dei passanti e scoprendo interessanti scorci e monumenti come l’imponete Duomo del XIII secolo dalla facciata romano-gotica, al cui interno sono conservate prestigiose opere d’arte, tra cui gli affreschi trecenteschi di Vitale da Bologna, Pellegrino da San Daniele e Giambattista Tiepolo. Un’altra bella piazza si apre a sorpresa all’incrocio tra via Mercerie e via delle Erbe: piazza Matteotti, “il salotto buono” di Udine. Vi si affaccia la deliziosa chiesa di San Giacomo con un caratteristico balconcino, un tempo pulpito dell’officiante. Un po’ dislocato rispetto al centro più frequentato è il Palazzo Arcivescovile in Piazza del Patriarcato, sede del Museo Diocesano di Arte Sacra, il cui stile architettonico sobrio ed equilibrato riserva un’inaspettata meraviglia: il ciclo di affreschi (episodi e personaggi dall’Antico Testamento) tra i più spettacolari di Giambattista Tiepolo, al culmine della sua carriera pittorica (1726). Un’esperienza davvero indimenticabile! Non è improbabile che proprio questa familiarità degli udinesi con i capolavori artistici abbia influito positivamente anche in tempi recenti sulla loro propensione verso l’arte, che ha vinto una certa innata resistenza ad investire nel “superfluo”. A Udine sono infatti presenti importanti collezioni private, alcune delle quali sono state donate al Comune diventando parte della raccolta della Galleria d’Arte Moderna, nata dalla fondazione artistica istituita da Antonio Marangoni. La città conta numerose manifestazioni, anche internazionali, come il Far East Film Festival, dedicata al cinema dell’estremo oriente o la popolare Friuli Doc, incentrata sull’enogastronomia regionale. In città non mancano caffè eleganti come lo storico Caffè Contarena di via Cavour, grandi magazzini alla moda, passeggi punteggiati da originali negozietti e boutique chic. Tuttavia l’aria che si respira è ancora quella di una piccola città a misura d’uomo, dove sembra che tutti si conoscano e la gente è cordiale e disponibile. Gli udinesi non amano perdere tempo, eppure nessuno strombazza appena il semaforo si fa verde o quando un automobilista è in difficoltà. Dove invece, a buon ragione, il tempo sembra fermarsi è nelle osterie, “isole umane” fuori dai ritmi frenetici, luoghi di incontro non per socializzare superficialmente, ma per una condivisione più profonda, fatta di quotidianità, cibo e vino genuini, lunghe amicizie che passano indenni attraverso i lustri, riflessioni e filosofia pratica sulla vita, sorseggiando un “tajut”, un piccolo calice di vino rosso o bianco. I friulani sono gente concreta, che sa fare bene i conti con la vita e che perciò, anche nell’abbondanza, non perde mai di vista le cose semplici, i legami familiari, le tradizioni, la propria identità culturale. Questo è tanto più vero per le comunità appartate della Carnia, “il popolo duro”. Abituato e temprato dalle difficoltà e dalle privazioni, ha saputo fare della propria cultura tradizionale un elemento di riscatto e di rinnovamento, da valorizzare mediante un’offerta turistica non banale. Ne è un bell’esempio “l’albergo diffuso” che ha trovato a Comeglians la sua prima realizzazione (ora in regione ce ne sono ben otto): qui l’ospitalità non si concentra in un unico edificio, ma è diluita in numerose unità (case e appartamenti) sparse nel paese che così ha ripreso vita, evitando il progressivo decadimento delle tipiche costruzioni rurali. L’ospite si sente parte della vita del villaggio nel quale è invitato ad integrarsi (www.clubalbergodiffuso.it). Dalla montagna si può scendere verso la pianura e poi verso il mare, incontrando sempre, lungo il percorso, interessanti cittadine e villaggi che conservano, tutti o quasi, almeno un piccolo tesoro artistico. Valgono davvero una sosta, dovendo soffermarsi solo nelle località più caratteristiche e importanti, Tarvisio, graziosa e antica cittadina sul confine austriaco, nota anche come stazione turistica invernale; Sauris, con il suo luccicante laghetto e le antichissime tradizioni popolari; Gemona e Venzone, dall’antico impianto medievale e perfettamente ricostruite dopo il disastroso terremoto del 1976; Tarcento, “la perla del Friuli”, luogo di villeggiatura della bella Epoque punteggiata di eleganti ville signorili e dimore patrizie; Cividale (l’antica “Forum Iulii” da cui il nome “Friuli”), piena di storia e soprattutto di splendide testimonianze artistiche appartenenti al periodo in cui era capitale del Ducato Longobardo; San Daniele, piccolo ma ricco centro d’arte e di cultura, sede tra l’altro dell’antichissima Biblioteca Guarneriana, è anche universalmente famosa per il suo prosciutto DOP; Passariano, accoglie la spettacolare e imponente Villa Manin appartenuta all’ultimo Doge di Venezia; Palmanova, la città stellata per via delle sue mura a forma di stella a nove punte, costruita dai veneziani nel 193 quale baluardo per la difesa dalle scorrerie turche; Aquileia, fondata dai romani, ebbe in età imperiale i suoi fasti maggiori e conserva il più grande e splendido pavimento musivo d’Europa d’epoca paleocristiana. Gastronomia e lingua friulana sono comuni a tutto il territorio della provincia, ma prendono inflessioni diverse a seconda delle zone. La Carnia è forse quella che più si distingue perché in questi ultimi anni la sua tradizione culinaria è stata particolarmente rivalutate e valorizzata dal grande lavoro di studio, recupero e divulgazione di Gianni Cossetti, chef di fama e maestro di un’intera generazione di cuochi, che si sono impegnati a far conoscere anche all’estero i sapori e i profumi di questa terra di montagna. I “cjarsòns” sono il piatto che più la rappresenta: una specie di ravioli la cui pasta è fatta con farina, acqua e sale, mentre il ripieno può essere salato o dolce, sempre comunque ricco di aromi e spezie, che in passato i “cramârs” (venditori ambulanti) portavano fin quassù dopo lunghi viaggi. Altri pietanze tipiche sono il “toc’ in braide” (un intingolo di formaggio fuso) e “il toc’ di vora” (fatto di crema di ricotta e polenta), la “meste cuincjade” (polenta e ricotta in strati), tutte portate semplici ma gustosissime, da lucidare i piatti, senza contare le varie preparazioni con selvaggina, trasformata anche in insaccati ed i dolci, come i biscotti ad esse di Raveo. Le valli del Natisone sono un’altra area di estremo interesse culinario per il particolare intrecciarsi di tradizioni friulane e slovene. Ecco dunque gli “zljčnjaki” (gnocchi fatti con farina e acqua), le zuppe come la “serkuova” (a base di mais), la “briza” (con latte acido e zucca bianca) o piatti come la “stokalca” (verdure,lardo in una purea di patate) e il “fancel” (una focaccia alle erbe) e, dulcis in fundo, la “gubana” e gli “strucchi”, dolci originari di queste parti molto apprezzati, anche dai turisti! Nel resto della provincia in cucina troviamo i piatti caratteristici della tradizione friulana: il salame cotto nell’aceto, la minestra di orzo e fagioli, il “muset con brovade” (insaccato di particolari carni suine aromatizzate servito con rape macerate nelle vinacce acide), gli gnocchi con sughi d’arrosto, la selvaggina o i funghi, l’immancabile “frico”, le frittate alle erbe dalle mille varianti, le pietanze a base di asparagi bianchi di Tavagnacco. Oltre ad una cucina semplice ma davvero gustosa, questa provincia ha la fortuna di abbracciare ben cinque DOC, con una proposta enologica eccezionale e tra le più quotate anche a livello internazionale: “Colli Orientali del Friuli”, “Annia”, “Aquileia”, “Latisana”, e parte delle “Grave del Friuli”. Nella provincia di Udine sono situate anche le due DOCG regionali: il “Ramandolo” e il “Picolit”. Tra tanti vini rinomati, ci limitiamo a segnalare soltanto quelli autoctoni perchè presenti e coltivati soltanto qui. Sono vini bianchi la Ribolla Gialla, il Friulano (già Tocai), il Verduzzo Friulano; sono vini rossi lo Schioppettino, il Tazzelenghe, il Pignolo, il Refosco; infine sono vini bianchi dolci, “da meditazione” il regale Picolit ed il raffinatissimo Ramandolo (unico in Friuli Venezia Giulia ad aver preso il nome del luogo da cui è originario e non quello del vitigno, il Verduzzo Friulano, con le cui uve si produce). Da evidenziare anche la produzione di ottime birre artigianali friulane, di rinomate grappe e dello “sliwovitz”, l’acquavite di prugne, tipica delle Valli del Natisone. Udine e le sue terre mantengono sempre ciò che promettono: restano per sempre nel cuore!

Trieste, sirena incantatrice!


Affascinante, mutevole, sfuggente, Trieste si lascia scoprire quasi con scontrosa ritrosia. Quando però se ne coglie la magia sottile si resta ammaliati, irretiti! Trieste si può rivelare al visitatore in ogni stagione: in una calda ed assolata giornata estiva, abbacinante di azzurro e di bianco, durante una plumbea mattinata d’Inverno, sferzata dalla Bora scura (il tipico e impetuoso vento di questa zona), oppure in un brumoso pomeriggio autunnale, attraverso l’effetto iridescente di una fine nebbiolina, o ancora in un sfavillante giorno di Primavera, dall’aria tersa e cristallina. Il fascino seduttore di questa città è tuttavia insito soprattutto nei suoi contrasti, nella sua miscela di genti e storie, nel suo ambiguo atteggiarsi, fra severa nobiltà e scanzonata ruvidezza, nel suo pigro distendersi tra l’altipiano carsico, dalle bianche rocce rivestite di un verde smagliante e l’azzurro infinito del mare … Il mare, il porto, le navi, i commerci sono state la vocazione primaria, che hanno attirato qui genti da tutta Europa e non solo. Fin dall’antichità, naturale punto di contatto tra le popolazioni latine, germaniche e slave (“Tergeste” era il nome dell’insediamento romano), Trieste si è però sviluppata soprattutto a partire dalla metà del XVIII, secolo sotto l’egida di un lungimirante dominio asburgico. Qui creatività latina, concretezza slava e rigore teutonico si sono intrecciati incredibilmente, generando un’anima multietnica “ante litteram”. Una realtà complessa, a volte contraddittoria, percorsa da un sottile vento di inquietudine. Non a caso proprio a Trieste, agli inizi del Novecento, le teorie psicanalitiche di Freud hanno trovato i primi estimatori e seguaci, mentre Italo Svevo scriveva il famoso romanzo “La Coscienza di Zeno”dal taglio così modernamente psicanalitico. Anche Franco Basaglia, a partire dagli anni ’70, ha potuto qui proseguire con successo i rivoluzionari metodi nell’ambito del trattamento psichiatrico (iniziati a Gorizia) e ora universalmente riconosciuti ed apprezzati. Apparentemente fuori dal tempo ed impermeabile ai cambiamenti, Trieste ci sorprende con un’inaspettata vocazione scientifica e con la presenza di importanti e famosi studiosi a livello internazionale: nel 196 è stato creato il Centro di Fisica Teorica, intitolato ad Abdus Salam, fondatore e premio nobel; nel 1978 è nata la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), nel 1982 l’Area di Ricerca Science Park, nel 1993 è stato realizzato il Sincrotrone Elettra con la partecipazione del nobel Carlo Rubbia! L’astronoma Margherita Hack dirigeva l’Osservatorio di questa città dal 196! Trieste è anche una città di cultura, ricca di percorsi letterari. Ha dato i natali a poeti come Umberto Saba, a scrittori come Italo Svevo, a letterati come Claudio Magris ed ha ospitato a lungo personaggi del calibro di James Joyce. I triestini coltivano con passione l’arte, la letteratura, la musica ed il teatro (lirico e di prosa). Numerosi sono gli eventi culturali (famoso, in Estate, il Festival dell’Operetta), ma sono altrettanto seguiti quelli sportivi, il più spettacolare dei quali è la Barcolana, affollatissima regata che si svolge nel golfo triestino la seconda domenica di ottobre. Trieste meriterebbe di essere vista avendo tempo a disposizione, lasciandosi andare ai ritmi locali, a misura d’uomo. Ciò non di meno la si può visitare rapidamente, con la promessa di tornare ancora. Prima tappa il romantico Castello di Miramar, custode della tragica storia dell’Arciduca Massimiliano d’Asburgo (fratello del ben più noto imperatore d’Austria Franz Joseph) e della bella Principessa Carlotta del Belgio. Storia d’amore e d’ambizione finita con la morte per fucilazione a Queretaro di Massimiliano, aspirante imperatore del Messico, e la pazzia di Carlotta, che inutilmente aveva supplicato i regnanti d’Europa di intervenire per scongiurare l’imminente sciagura. Il Castello sorge, nel suo candido involucro di pietra d’Istria, su di uno sperone roccioso, che si protende a picco sul mare, avvolto da un incantevole Parco, che Massimiliano stesso aveva progettato con amorevole cura per la sua sposa. Dopo la visita al Castello, il cui stile fu subito imitato in molte ricche residenze locali, proseguendo verso il centro e costeggiando il golfo, si giunge sulle Rive di Trieste dove si apre la scenografica Piazza Unità d’Italia. Di impianto regolare, si affaccia direttamente sulla distesa di un mare mai uguale a se stesso e parte integrante della prospettiva spaziale della piazza. Anzi, in certe giornate terse, per un particolare effetto ottico, la visuale si estende fino alla corona dei monti che abbracciano il Friuli Venezia Giulia, mentre le montagne dalle cime innevate sembrano tuffarsi direttamente nell’Adriatico. Chi ha la fortuna di assistere a questo spettacolo naturale è certo di aver goduto di un fantastico ed irripetibile miraggio, che subito svanisce non appena l’aria si fa più densa…Alle spalle della Piazza, passando sotto il volto del Municipio, si trova, verso sinistra, il bel teatro romano, dalla cavea ben conservata. Affrontando a piedi l’erta salita che lo costeggia, la Via Donota, si raggiunge la cima del colle di San Giusto, dove era situato l’insediamento primitivo della città e l’antico foro romano, di cui rimangono le vestigia. Accanto ad esso il possente Castello di San Giusto che domina la città e la bella Cattedrale romanica, anch’essa intitolata al Santo martire e patrono di Trieste, nota per il campanile, il magnifico rosone gotico e gli splendenti mosaici absidali. A fianco si trova la graziosa chiesetta trecentesca di San Michele al Carnale. Scendendo nuovamente in direzione di Piazza Unità, ci si può soffermare ad ammirare il cosiddetto arco di Riccardo (molto probabilmente una delle porte della città romana) e, poco distante, la chiesa barocca di Santa Maria Maggiore, affiancata dall’antico sacello romanico di San Silvestro, ora dedicato al culto valdese. Si discende quindi una scalinata che riporta proprio alle spalle della Piazza, alla cui sinistra si sviluppa il pittoresco “borgo vecchio”, conosciuto come “Cavana”. Nei pressi si trovano Piazza Hortis e Piazza Venezia, dove si affaccia il Palazzo Revoltella che ospita l’interessante Museo d’Arte Moderna e gli antichi arredi dell’abitazione del barone Revoltella, che donò palazzo e collezione alla città. Attorno alla Piazza dell’Unità si trovano anche una serie di begli edifici, sorti soprattutto nell’800, di stili architettonici diversi (neoclassico, eclettico, floreale) i quali si amalgamano perfettamente in un tessuto urbanistico, che ricorda molto le città austriache più monumentali. Sempre sulle splendide Rive si fa largo il Canal Grande, che porta uno specchio d’acqua fin dentro la città, dove si riflettono i bei palazzi prospicienti, il tempio serbo ortodosso dedicato a San Spiridione e la chiesa neoclassica di Sant’Antonio Nuovo, che fa da perfetto fondale scenografico. Sparsi per la città ci sono caffè e pasticcerie storici: il neoclassico Caffè Tommaseo (proprio sulle Rive) ed il Caffè San Marco, che conserva intatta l’atmosfera “decò” di primi Novecento, sono tra i più rappresentativi e ben conservati. La Pasticceria “La bomboniera”, nei pressi di Sant’Antonio Nuovo e la Pasticceria “Pirona”, in Largo Barriera Vecchia, custodiscono arredi antichi ed i profumatissimi dolci tipici locali. La provincia di Trieste è davvero piccola ma ricca di sorprese. Si estende soprattutto sull’Altipiano Carsico, che si può raggiungere dalla città usando il Tram di “Opcina”, una vecchissima funicolare terrestre ancora attiva e viva! Il Carso, traforato da mille e una grotta (la Grotta Gigante di Sgonico è tra le più grandi in ampiezza al mondo), è costellato da caratteristici paesini costruiti con la pietra locale. Gli abitanti sono prevalentemente di lingua slovena e conservano le proprie tradizioni gelosamente. Sul mare, dove inizia la penisola istriana, si affaccia la graziosa cittadina di Muggia che, diversamente da Trieste, rimase a lungo sotto il dominio di Venezia. Da vedere il bel Duomo (XIII sec.) dalla facciata trilobata e l’antica Basilica di Muggia Vecchia (XI sec.). A questo estremo lembo orientale d’Italia la natura ha generosamente elargito abbondanza di colori, suoni e profumi che la gente del posto conosce e ama profondamente. A Trieste tutto sembra dirci che la vita passa come un soffio e che non val la pena cercare lontano se non si è capaci di scoprire dentro di se e nelle cose che ci circondano il piacere della quotidianità del vivere, che qui si nutre ogni giorno di tante bellezze naturali, di cibo genuino, di semplici rituali …: a mezza mattina un calice di vino accompagnato da un caldo “rodoleto” (rotoletto) di profumato prosciutto cotto (il tradizionale “rebechin”) e appena se ne presenti l’occasione un buon caffè, fresco di torrefazione (il capoluogo giuliano è infatti il primo emporio del caffè crudo del Mediterraneo e fra i più importanti al mondo!). Trieste è un’esperienza che sa parlare sia alla nostra dimensione interiore che a quella sensoriale. A tavola i triestini non si smentiscono nella loro innata capacità di godere delle semplici e buone cose della vita. I piatti della tradizione locale nella loro semplice genuinità sono pieni di profumi, gustosi e adatti al clima particolare della città. Pesce fresco nella stagione calda, come i sardoni (le alici locali), il piatto principe della stagione estiva preparati fritti, impanati, “in savor” e in tanti altri modi. Ottime invece le minestre e le carni saporite e sostanziose per i giorni freddi, magari sferzati da una Bora che può soffiare fino a 170 km/h. La “jota” è una minestra particolarissima, si ama o si odia, fatta con crauti, patate, fagioli, maiale. Buonissimi il prosciutto cotto Praga (leggermente affumicato e cotto in caldaia), la porcina calda con una grattatina di cren (la piccantissima radice di rafano), il gulash (spezzatino di manzo piccante), la “lubianska” (di tradizione slava è una fettina di carne, ripiena di prosciutto e formaggio ed impanata), lo stinco di maiale o vitello al forno, i “čevapčiči” (polpettine allungate di carne trita) ed i rasniči (spiedini) di origine balcanica fatti alla griglia. Anche i dolci sono semplici ma ugualmente ricchi e sostanziosi: la pinza, il presnitz, la putizza, la titola, le fave triestine, le creme carsoline, le palacinche (specie di omelette ripiena di marmellata). Naturalmente a Trieste più che mai si mescolano le tradizioni culinarie veneta, austriaca e slava con apporti ebraici, greci, serbi, turchi. La stessa mescolanza di elementi è ben evidente anche nel simpatico e spesso ironico dialetto locale, fatto di parole di tutte le provenienze, dove “mule” e “muli” sono le ragazze ed i ragazzi, mentre “mate” e “mati” (le consonanti doppie non si usano), le donne e gli uomini, forse con sottile allusione! Tra i prodotti tipici una menzione speciale merita l’olio extravergine d’oliva “Tergeste Dop”, ottenuto con le olive della varietà Bianchera, originaria di questa zona. I vini tipici dell’area triestina appartengono alla DOC “Carso”, terra arida, dura, climaticamente difficile. I suoi vini autoctoni sono molto particolari, ma di carattere: rosso è l’asprigno “terrano”, bianchi sono la profumata e aromatica Malvasia Istriana, la Vitovska, dall’aroma delicatamente fruttato e dal gusto sapido e la Glera prodotta da un vitigno simile a quello del Prosecco Tondo e il cui nome trova la sua origine proprio nell’omonimo paesino carsico! Trieste, distesa languidamente lungo la costa e sulle alture che la circondano, sembra una bella e candida sirena che, con il suo dolce canto e le sue lusinghiere promesse, attira i naviganti che le passano accanto. Quelli che, curiosi, rispondono al richiamo ne restano irrimediabilmente affascinati… e vi lasciano l’anima!

Pordenone, lasciatevi conquistare dalle emozioni!


È con questo slogan che il territorio pordenonese si offre al popolo di internet. Una P, iniziale della provincia di Pordenone, che diventa un cuore rosso e che invita il pubblico a lasciarsi attirare in una zona molto conosciuta per le sue potenzialità economiche ma molto meno per l’offerta turistica ed enogastronomica. Una terra affascinate, di città, paesi e borghi ricchi di storia e cultura, che riflette le cime delle sue montagne nei rapidi corsi d’acqua, improvvisamente inghiottiti e poi magicamente di nuovo alla luce per effetto di un misterioso suolo arido e ciotoloso, fortuna e risorsa di una natura spesso fonte di ispirazione dei poeti. È questa la provincia di Pordenone, compresa tra il Livenza ed il Tagliamento, i due fiumi che delimitano i confini naturali di un’area conosciuta anche come Friuli Occidentale, tenuti sotto controllo dagli occhi imperiosi delle Dolomiti Friulane e le Prealpi Carniche. Montagne splendide, recentemente riconosciute Patrimonio dell’Unesco per la bellezza naturalistica che le contraddistingue. Ma è l’acqua la forza economica di questa parte del Friuli Venezia Giulia. Ne sono esempi emblematici la città capoluogo con il suo fiume Noncello navigabile fino al mare, o Malnisio dove grazie al fiume Cellina venne costruita la prima centrale elettrica la cui energia veniva fornita alla città di Venezia. Sempre l’acqua fu utilizzata come “carbone bianco” per il funzionamento dei macchinari di cartiere, cotonifici, industria della ceramica o nel maniaghese per i battiferro precursori di quelle coltellerie ora note a livello internazionale. Ha ancora origine dall’acqua ma dai sassi del Tagliamento quella che oggi è un’arte unica al mondo: il lavoro di terrazzieri e mosaicisti formatisi alla scuola di Spilimbergo, abbelliscono tutto il continente. E l’acqua regala anche luoghi magici come i Magredi, profonde gole come la forra del Cellina o laghi nei quali sembra che acqua e montagna siano un tutt’uno come quello di Barcis o quello di Redona. E ancora sorgenti dai colori turchesi come quella del Gorgazzo o della Santissima. I palazzi antichi, le calli, le chiese, i monumenti ed i lunghi portici così come paesini e i borghi inframmezzati da una rigogliosa campagna, antica madre dell’economia pordenonese, sorprendono il turista più attento regalando eleganti architetture, impreziosite anche di opere d’arte, dipinti e affreschi. Insediamenti medievali come Valvasone e Cordovado, antiche abbazie come quella di Sesto al Reghena, Sacile ribattezzato il “Giardino della serenissima” o angoli nascosti come Poffabro dichiarato tra i borghi più belli d’Italia o ancora Piancavallo meta sportiva degli appassionati degli sport invernali. Sono solo alcuni degli esempi che Pordenone può offrire. A tavola l’enogastronomia fonde i propri sapori e profumi in una cucina rustica, di territorio e tuttavia aperta alle contaminazioni di una terra di confine, regalando piatti ricchi di tradizione, cibi rivisitati e attualizzati che sanno conquistare per la loro semplicità e genuinità. Il dialogo tra le genti, gli scambi economici e le conseguenti contaminazioni culturali hanno fatto sì che questa terra caratterizzi la propria quotidianità nella convivenza, nello stare insieme, nel confronto continuo. Ecco perchè la cucina pordenonese non ha una sua vera e propria identità ma piuttosto è un mix di popoli e tradizioni. Quasi come fosse la tavolozza di un pittore dove i colori si mescolano regalando sfumature sorprendenti. Così la dominazione veneziana e quella austriaca si fondono con le tradizioni contadine. I passaggi dei nobili portano su questa terra semplice spezie e profumi lontani. E con l’obiettivo di legare la cultura enogastronomica alle radici dei sapori è nato nella Destra Tagliamento il progetto Ristorante Tipico. Proposto dalla Camera di Commercio di Pordenone con la collaborazione di enti ed associazioni locali, ha un duplice obiettivo: la valorizzazione delle produzioni tipiche agroalimentari nonché il rafforzamento e la nascita di una ristorazione tipica certificata del territorio. Grazie ad un preciso disciplinare i ristoranti selezionati offrono un menù che valorizza le produzioni tipiche locali consentendo così un’ottima sinergia tra il mondo dell’agricoltura e delle produzioni alimentari con il mondo della ristorazione. Ma Pordenone è andato oltre. Cercando di andare alle origini della cucina pordenonese il 29 aprile 2009 è nato il “Menù tipico Pordenone”. L’esigenza era quella di identificare in modo univoco alcuni piatti tipici del pordenonese. La soluzione, l’ha trovata l’Ascom-Confcommercio che ha pensato di andare a scovare negli archivi di associazioni locali, nelle pro loco e nelle scuole le ricette della nostra storia. E per consentire a chiunque di dare il proprio contributo, l’iniziativa è stata divulgata attraverso il Messaggero Veneto raccogliendo le segnalazioni dei lettori. Al fianco dei due promotori principali (Ascom-Confcommercio e Messaggero Veneto) si sono subito affiancati con entusiasmo la Provincia e il Comune di Pordenone, la Camera di Commercio, la BCC Pordenonese, Tele Pordenone, il Centro turistico alberghiero dello Ial di Aviano, il Gruppo ristoratori, l’agenzia Interattiva e la Biblioteca dell’Immagine. Mille e cento le ricette scovate e raccolte ad evidenziare che le pietanze che caratterizzano il territorio pordenonese non sono assolutamente poche. La commissione - composta da Bepi Pucciarelli (giornalista enogastronomo), Giuseppe Faggiotto (pasticcere), Andrea Canton, Manlio Signora, Walter Masut e Marco Talamini (chef), Angelo Baldi (ristoratore), Germano Vicenzutto (macellaio) Stefano Zanolin e Giorgio Viel dell’Accademia italiana della Cucina, coordinati da Sergio Lucchetta, Vice Presidente Ascom-Confcommercio -, hanno effettuato una prima scelta selezionando quaranta piatti semifinalisti. Solo in un secondo tempo le pietanze si sono ridotte a dodici, decretando di fatto i tre antipasti, tre primi, tre secondi e tre dolci che caratterizzeranno il “Menù Tipico Pordenone”. Ed ecco quali sono i magnifici dodici. Per gli antipasti “Pitina in brodo di polenta”, “Fegato alla moda dei Franceschina” e “Zuf di zucca”. Tra i primi “Brout brusat”, “Minestra di riso e verze” e “Gnocchi di polenta con formaggio salato. Per i secondi “Anguilla”, “Verza con la costa di maiale” e “Muset e brovada”. Per finire i dolci: “Biscotti di mais con uvetta e pinoli”, “Pane e zucchero” e “Pistum”. Nella terra del grande Pier Paolo Pasolini o delle Giornate del Cinema Muto, del “gigante buono” Primo Carnera o delle barbatelle, delle Sagre più antiche come quella dei “Osei” che fonda le sue origini nel 1673 o della Festa del Libro “pordenonelegge”, della rappresentazione della Via Crucis o delle gare internazionali dei più importanti sport, si può restare sorpresi da alcune specialità esclusivamente pordenonesi. Tra tutte la pitina (o peta o pitina o petucia a seconda delle zone di produzione, ma che mantiene alla base la caratteristica forma tonda a polpetta). E’ un unicum (recentemente ripreso e valorizzato grazie anche al presidio Slow Food) formato da un composto di carne tritata di capra e di pecora, con l’aggiunta di capriolo o camoscio, manzo e maiale, aromatizzato con sale, pepe, aglio, finocchio ed erbe selvatiche, raccolto in formelle ricoperte da un lieve strato di farina di mais. Tipicamente pordenonese anche il Sauc (bondiola del pordenonese), il cui impasto è simile a quello del cotechino ma al quale vengono aggiunte altre parti dell’animale (muscoli o lingua) messi in fusione in vino rosso (Cabernet o Refosco). Squisiti anche i formaggi. Quello caratteristico della zona è il Montasio, proposto nelle diverse fasi della stagionatura. Ottimi tutti i formaggi di malga, il salat (salato) o l’àsin (formaggio a pasta morbida e cremosa), quello tal cit (formaggio a pezzettini, coperto da latte, panna ed aromi e quindi mescolato fino a formare una crema densa, che veniva posta nel cit, caratteristico vaso di pietra). Per finire il pasto da provare il Biscotto Pordenone (riconosciuto dal Ministero prodotto agroalimentare tradizionale). Seguite il nostro invito: lasciatevi conquistare dalle emozioni! Venite a visitare la provincia di Pordenone.